Il 10 marzo 1937, a Palermo, il commesso Tommaso Scalia, che era il capro espiatorio per l'appropriazione indebita nel Palazzo della Confederazione, uccide con una baionetta il suo ex capo, l'avvocato Spadafora Vincenzo, e il suo sostituto, il ragioniere Speciale Antonio.
Poi guida la sua auto lungo una strada solitaria, stupra ed esegue la sua moglie con un colpo alla testa.
Viene processato e si aspetta di ricevere la pena di morte, ma il giudice Vito Di Francesco, contrario alla pena di morte, trova prove che l'omicidio ha un movente passionale.
Tuttavia, l'imputato vuole essere giustiziato dal plotone di esecuzione in una situazione eccentrica.